Caucaso del Sud, un anno difficile (Osservatorio Balcani e Caucaso 12.12.24)

L’anno che sta per finire ha visto il Caucaso meridionale affrontare numerose crisi e sfide elettorali e politiche: una situazione turbolenta in cui si intrecciano le azioni di poteri ufficiali e non riconosciuti. Una rassegna

12/12/2024 –  Marilisa Lorusso

Nulla di nuovo in Azerbaijan, con un sistema politico che non conosce l’alternanza. Le elezioni del 2024 hanno lasciato il quadro com’era. Molto più travagliatala situazione della Georgia.

A Tbilisi c’è un governo uscito dalle controverse elezioni di fine ottobre, mentre la presidenza della Repubblica è in scadenza e le nuove, sperimentali, elezioni prendono forma nel peggior quadro politico possibile. Per la prima volta infatti il capo dello stato non sarà più eletto direttamente dal popolo ma mediante un collegio di 300 membri.

Nei territori georgiani controllati dalla Russia, è in pieno tumulto l’Abkhazia in cui una rivolta di piazza ha costretto le dimissioni il presidente de facto Aslan Bzhania. La presidenza è stata assunta ad interim, fino alle elezioni di febbraio, da Badra Gunba.

Le guerre secessioniste e gli sfollamenti che le hanno accompagnate hanno infatti generato un proliferare di amministrazioni de facto e de jure. Oltre ai governi secessionisti, il governo di Tbilisi mantiene vive le sue amministrazioni de jure dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud.

A settembre il Presidente del governo della Regione Autonoma dell’Abkhazia, Ruslan Abashidze, in carica dal 2019, ha rassegnato le dimissioni.

Il suo messaggio  di dimissioni riassume il senso del suo ruolo e mandato: “Vorrei esprimere un ringraziamento speciale alla società abkhaza. È stato un grande onore e, allo stesso tempo, una grande responsabilità per me servire loro e lavorare insieme per avvicinarci ancora di più all’obiettivo di unire le società divise e ripristinare l’integrità territoriale del Paese.”

Il nuovo Presidente del governo abkhazo è Levan Mgaloblishvili, originario di Sukhumi, e insieme a Tamaz Bestaev, Capo dell’unità amministrativo-territoriale provvisoria dell’ex distretto autonomo dell’Ossezia meridionale (unità amministrativa abolita da Tbilisi nei primi tumultuosi anni di indipendenza), oltre a coordinare le suddette attività per la popolazione sfollata, partecipa alle Discussioni internazionali di Ginevra, ovviamente come membro della delegazione georgiana.

Il fu Nagorno Karabakh

Il territorio della fu repubblica de facto del Nagorno Karabakh continua il suo percorso, sotto la sovranità azera, mentre la popolazione che vi risiedeva è per lo più fuggita in Armenia. Come entità politica amministrativa la Regione Autonoma del Nagorno Karabakh, così denominata in periodo sovietico, e poi diventata la Repubblica dell’Artsakh durante il periodo secessionista, non esiste più.

Dal luglio 2021 è una delle 14 regioni economiche in cui è suddiviso l’Azerbaijan. Il Presidente azero Ilham Aliyev ha istituito la carica di Rappresentante speciale presidenziale per questa regione economica e incaricato nel 2021 Emir Huseynov.

Nel frattempo continuano i rientri, e il dicembre del 2024 ha portato la popolazione degli ex sfollati di guerra azeri trasferiti in Karabakh nella ex cintura di sicurezza a circa 30mila persone. Insieme ai rientri continuano anche i massicci interventi urbanistici e infrastrutturali, che sono monitorati a distanza dagli ex residenti armeni e dalle loro istituzioni.

Sì, perché il Karabakh armeno nella sua realtà istituzionale esiste ancora. Gli organi di governo, che avrebbero dovuto sciogliersi non si sono infatti sciolti.

Questa nuova popolazione di sfollati del Karabakh e i loro rappresentanti osservano da lontano l’evolversi del territorio dove sono rimasti i loro beni immobili e il patrimonio culturale materiale.

A ottobre l’ex ministro della Cultura, della Gioventù e del Turismo del Nagorno Karabakh (2017-2018), Capo del Consiglio pubblico dell’Artsakh per la protezione del patrimonio culturale (dal 2021) Sergey Shahverdyan ha pubblicato un post su Facebook  con una foto che mostra la demolizione da parte dell’amministrazione azera di edifici residenziali di Stepanakert / Khankendi aggiungendo che nei giorni precedenti i quartieri storici della capitale lungo Tumanyan Street sono stati rasi al suolo, violando così i diritti di proprietà di migliaia di proprietari di edifici privati ​​del XIX e dell’inizio del XX secolo.

Il mese seguente il difensore civico de facto Gegham Stepanyan ha pubblicato un post  denunciando che il piccolo centro di Stepanakert, noto come ‘Koltsevaya’, è stato distrutto. Stepanyanha rilevato anche che decine di edifici pubblici e privati ​​sono stati rasi al suolo.

Continua la propria attività il Comitato per la difesa dei diritti fondamentali del popolo dell’Artsakh. Secondo un comunicato stampa  di ottobre, i suoi membri hanno avuto incontri con il Presidente della Repubblica dell’Artsakh Samvel Shahramanyan, i membri dell’ex parlamento, l’Assemblea nazionale, il capo della diocesi e Sua Santità Karekin II, Catholicos di tutti gli Armeni, durante il quale sono stati condivisi aggiornamenti.

Il Comitato si ripropone fra le attività svolte di compiere sforzi verso la definizione di un formato negoziale internazionale per affrontare il diritto al ritorno, la tutela del patrimonio culturale dell’Artsakh, della proprietà pubblica e privata, il ritorno dei prigionieri di guerra armeni e degli ostaggi trattenuti a Baku e altre questioni critiche legate alla difesa dei diritti del popolo dell’Artsakh.

Né il Comitato, né gli organi governativi e istituzionali de facto hanno più alcun contatto con Baku, e sono ridotti al minimo o meno del minimo quelli con Yerevan, dove pure i vari esponenti in esilio risiedono.

Cercano invece contatti all’estero, e questo mese l’Assemblea nazionale ha chiesto che le Nazioni Unite riconoscano l’Artsakh, anche ora che la sua popolazione è in esilio, ricordando che nel luglio del 2023 la stessa si era rivolta all’ONU per il riconoscimento, rammaricandosi che i rischi che erano stati segnalati fossero stati ignorati.

Il settembre seguente il conflitto di un giorno ha decretato lo sfollamento completo dei secessionisti armeni. Secondo i rappresentati de facto  ora “Il riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica dell’Artsakh da parte degli Stati membri dell’ONU è l’unico modo per ripristinare la giustizia storica, diventerà una garanzia affidabile della protezione del nostro popolo, contribuirà al ritorno dignitoso e sicuro di 150mila armeni alla propria patria storica, entro i confini internazionali già riconosciuti, alla propria dimora storica.”

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